harry styles

Esiste il modo per determinare perché le band classiche sono diventate tali? Perché un certo disco è considerato fondamentale nella crescita di un determinato genere? Per quale motivo, quel disco e non un altro, se non del medesimo gruppo, del medesimo filone musicale? La risposta è si. C’è il modo per determinare se una band, un disco o una canzone possano essere definiti classici o meno. Almeno secondo l’intelligenza artificiale.

Dal punto di vista dell’assistente virtuale ci sono alcune caratteristiche ricorrenti. Queste sono riassumibili in: Universalità dei temi: i classici spesso affrontano temi universali come l’amore, la perdita, la ribellione, la crescita e la ricerca di sé stessi. Questi temi risuonano con un pubblico vasto e variegato, superando le barriere culturali e generazionali. Melodie indimenticabili: le melodie sono semplici, orecchiabili e memorabili. Si incastrano nella mente e rimangono lì, anche dopo anni. E questo è innegabile.

Ritmi coinvolgenti: questi sono spesso potenti e trascinanti, invitando il pubblico a ballare, cantare e muoversi. Testo significativo: i testi sono spesso poetici, evocativi e ricchi di significato. Possono essere semplici o complessi, ma hanno sempre qualcosa da dire. Innovazione: molti classici del rock hanno introdotto nuovi suoni, strumenti o tecniche musicali, spingendo i confini del genere e influenzando le generazioni successive.

Qualità della produzione: la produzione è spesso di alta qualità, con un suono ricco e dettagliato che resiste alla prova del tempo. Impatto culturale: i classici del rock hanno spesso avuto un impatto significativo sulla cultura popolare, diventando inni di generazioni e simboli di un’epoca. Esecuzione magistrale: l’interpretazione dei musicisti è fondamentale. La passione, l’energia e l’abilità con cui un brano viene eseguito contribuiscono in modo determinante al suo successo.

Dando per buoni tali parametri, qualcuno più o meno discutibile, possiamo riportarli alla musica contemporanea? La risposta è ancora si. La capacità di un brano di emozionare, di creare un legame con l’ascoltatore e di lasciare un segno duraturo nel tempo è ciò che rende un classico, sia esso del passato o del presente. Questo è un ragionamento che cerca di rimanere nei limiti dell’oggettività. Certo non possono essere presi in considerazione i gusti musicali soggettivi e la capacità di ogni individuo di emozionarsi.

Stando così le cose, che piaccia o meno, esistono, allo stato attuale brani, band e dischi che sono destinati a diventare dei classici. Alcune canzoni lo sono già diventate. Basti pensare a certi inni di Ed Sheeran. È quindi possibile disquisire sulla validità o meno dei parametri, ma non su quella della musica proposta oggi. E il motivo è semplice. Ogni generazione, ogni tempo, ha la propria colonna sonora che la rappresenta. Stare a discutere su è meglio un certo approccio rispetto ad un altro, lascia il tempo che trova.

Un determinato modo di intendere l’arte è valido solo nel contesto in cui è stato presentato. Trascorsi anni, se non decenni, deve per forza cambiare qualcosa. Quell’approccio potrà cristallizzarsi diventando un classico, ma ciò che arriva dopo non può essere da meno. La generazione X ha come riferimento Bowie, ad esempio, per mille motivi. Eclettico, dissacrante, istrionico, icona generazionale. I giovani della generazione Z invece hanno davanti a sé Harry Styles, che, per loro, non è da meno.

Su che base possiamo dire che Styles è meno valido di Bowie? Perché è più commerciale? Vogliamo parlare delle hit del duca bianco? Ovvio, io, esponente della generazione X non potrò mai capire appieno Styles perché parla di qualcosa che non mi appartiene. Parla un linguaggio che non è più il mio. Il sordo, però, sono io, perché non ho la giusta chiave di lettura. Non sono i ragazzi di oggi che non sentono. Anche perché il ragionamento, fatto in maniera inversa, porta alla stessa conclusione.

Cioè, non avere la giusta chiave di lettura per poter apprezzare i classici. Il periodo cubista di Picasso non è compreso da tutti nello stesso modo. Guernica non è apprezzato da chiunque, pur essendo un vero capolavoro. La domanda quindi è: perché accusare chi non lo capisce di essere un idiota e di preferire Keith Haring, e non spiegargli come fare per interpretare Picasso?

Magari non lo interiorizzerà in toto, ma almeno potrà comprenderne l’importanza storica. Perché questo atteggiamento non viene messo in pratica anche nella musica? Perché ci si concentra sulla iterazione di ambienti sonori obsoleti? Tanto, che piaccia o no, le cose sono cambiate. Il non rendersene conto provoca semplicemente chiusura. I classici ci piacciono ci piaceranno sempre, ma questo non ci autorizza ad etichettare ciò che esce oggi come immondizia solo perché non lo comprendiamo.

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