Recensione a cura di Carmine Rubicco
Se da una parte è vero che in musica, come in generale in moltissimi campi creativi, è difficile riuscire ad essere originali, dall’altra c’è modo e modo per gestire le analogie.
Considerando che lo scopo del gioco di chi crea non è somigliare a qualcun altro ma essere unico e riconoscibile, la tendenza dovrebbe essere il limitare i punti di contatto fino a cancellarli.
Questo è uno dei punti deboli de Il bastardo, disco di Simone Piva e i Viola velluto. Un lp, cantato in italiano, ‘sabbioso’ e dal sapore di deserti e zone di confine nella migliore tradizione western. L’intento del progetto è lodevole, la riuscita necessità di qualche revisione.
Eccessivi i punti di contatto tra le linee melodiche del nostro e i Negrita che fanno sentire il proprio peso anche su diversi arrangiamenti e riff, si veda la title track. Poco male in realtà se si prende la cosa come un omaggio. Diverso invece il discorso se si parla dei testi.
Alla fine dell’ennesimo ascolto la sensazione che rimane è la medesima del primo approccio: come sta comunicando l’autore? Parla con chi esattamente? Con giovani 25enni o navigati ultra 40enni? Si perché i testi per un certo verso tendono verso la maturità e la profondità di persone adulte, dall’altra strizzano l’occhio a sbarazzine uscite serali e rientri quando i genitori dormono.
Non è certo mancanza di argomenti o capacità di scrittura, ma magari maggiore approfondimento e delineazione del target di riferimento. Nel suo insieme il disco di Piva è un buon cd, gradevole, ben suonato e prodotto che tuttavia sulla distanza risulta stancante.
Elogio alla tromba che in diverse occasioni risolleva brani altrimenti troppo piatti. Tra le sette canzoni che compongono il disco quella che maggiormente spunta è Hello Madame, un ottimo mix tra western, reggae e rock con sfumature jazzeggianti.