Recensione a cura di Carmine Rubicco
Quando una band storica torna in pista con un nuovo lavoro è sempre difficile redigere recensioni. Da una parte, inevitabile, c’è l’aspetto affettivo verso il gruppo. Dall’altra il timore che il ritorno possa solo sottolineare come il tempo sia inesorabilmente trascorso e le canzoni presentate non hanno nessun valore se non quello di rievocare fantasmi ormai passati.
Sono ben pochi i gruppi capaci di fare tesoro delle stagioni che si susseguono, dell’evoluzione musicale e di mixare il tutto con il proprio stile che inevitabilmente cambia pur rimanendo riconoscibile. È quello che sono riusciti a fare i ferraresi Strike con il loro nuovo Tutto da rifare. Chi li ha seguiti dal lontano 1986 sa di cosa sono capaci e da dove sono partiti. Quello che più ben stupisce è dove sono arrivati.
Abbandonato da tempo, quasi completamente, l’originale ska, passati attraverso crossover di sonorità tra jazz e avana sound, quello che emerge è uno zibaldone di stili e ritmi, come tradizione pachanka vuole. I brani non risultano già sentiti o musica per nostalgici. Anzi. Emerge una freschezza generata dal percorso fin qui svolto dalla band che ben si sposa con una forte venatura jazz notturna.
Tutto da rifare non è più un disco intero da sparare a tutto volume ad una festa estiva. È un disco da ascoltare, da ballare anche, da gustare in una passeggiata notturna persi in qualche mercatino magari in una città di mare. L’importante è che ci sia una miscellanea di profumi, di colori, di voci e suoni. Inutile indicare un brano sugli altri. Sono tutti da assaporare e collegare ad un’immagine personale.
Ulteriore elemento meritevole di attenzione sono i testi. Anche questi sono sempre stati un punto di forza dei nostri, sia quando si concentravano su aspetti più ‘ludici’ sia quando hanno raccontato storie più serie. Questa volta sono storie contemporanee, al passo con i tempi e con una maturità appresa che li rende unici.
Dieci brani quelli degli Strike che poggiano su un tappeto tecnico e di ispirazione altrettanti spunti di riflessione. Il lavoro complessivo pur rimanendo firmato 2019, porta con sé suoni e richiami agli anni 80 e 90, senza per questo risultare stucchevole.
In definitiva un ottimo ritorno quello dei ferraresi, ben oltre quello che hanno fatto altri esimi colleghi che si sono limitati a fare la cover band di se stessi. Un disco da avere, da assaporare se piacciono atmosfere poliedriche e a tinte ora forti ora pastello. Se siete solo amanti di rock e metal state lontani, chitarre ultracompresse non ce ne sono, così come riff al fulmicotone. Se invece vi piace ‘semplicemente’ la buona musica, non fatevelo scappare.
Un’ultima importante annotazione: il disco è stato realizzato grazie ad una raccolta fondi su Musicraiser.