Ovvero: come cercare di far parlare tra loro differenti generazioni
Lo ‘scontro generazionale’ è sempre stato un passaggio necessario e positivo. Da una parte c’è la ricerca del proprio spazio delle nuove leve, dall’altra il riconoscimento dei limiti delle vecchie generazioni. In ogni caso è un arricchimento per entrambe le parti.
I giovani si affacciano e fanno i conti con ciò che è stato e gli adulti verificano dove sono arrivati e dove sono stati condotti da determinate scelte. Tuttavia affinché lo scambio sia positivo si deve arrivare ad un punto di incontro. Non ad un compromesso, quanto al momento in cui si ha voglia e si sente la necessità di conoscere l’altra parte senza pregiudizio.
Questo scontro avviene anche, se non in maniera più drastica, anche nelle arti, quindi anche nella musica. Su un fronte ci sono ‘i vecchi’ che, spesso, giudicano i nuovi corsi come riadattamento di cose già sentite. Sul versante opposto ci sono i giovani che non capiscono perché ci sia un tale insensato atteggiamento.
Allargando il discorso questo confronto non avviene solo tra giovani e meno giovani ma anche tra tradizionalisti e non. In ogni caso una possibile via d’uscita è la comprensione, il capire perché i ‘diversamente giovani’ giudicano molte uscite contemporanee come qualcosa di già sentito.
Quando uscì Nevermind dei Nirvana, era il 24 settembre dell’ormai lontanissimo 1991, qualcuno lo stroncò etichettandolo come accozzaglia di riff degli anni 70 resi più caustici. Probabilmente come definizione fu eccessiva e non del tutto motivata, ma in ogni caso accese una lampadina. Accozzaglia di riff anni 70?, quali?, fu l’immediata domanda.
Andando poi a ripescare i riferimenti forniti dai recensori effettivamente alcuni richiami c’erano, ma da li alla stroncatura c’era anche un mare di note. Per capire il ragionamento dei giornalisti il solo sistema fu ascoltare le band citate come ‘originali’. E forse è proprio qui il gap contemporaneo. Il mancato approfondimento.
Il che non vuol dire esclusivamente avere sul proprio telefono o lettore mp3 o cd o computer tette le discografie di determinati gruppi. Vuol dire vivere quelle band, sentirle proprie, nel bene e nel male, riconoscerne i riff e le influenze lasciate. Questo molte volte manca. Manca una reale conoscenza che permette di ridimensionare certi fenomeni.
Sia chiaro, che i primi dischi di chiunque possano essere derivativi è un classico. La band ha bisogno di un punto di partenza per poter poi tracciare la propria strada. Il problema sta se le influenze rimangono marcate anche sul secondo disco. Qui si alimenta la diatriba. Chi ha ‘ragione’?. Tutti e nessuno. I vecchi perché effettivamente molti dischi sanno di già sentito, i giovani perché vogliono superare lo sbarramento del ‘è stato già fatto’.
Nessuno perché se da una parte essere del tutto originali è quasi impossibile, dall’altra esiste la sincerità intellettuale di voler trovare la propria voce. Quindi non resta che cercare di capirsi. E per farlo non resta che cominciare dall’inizio. Ma dall’inizio inizio, non ‘da un certo punto’. Questo perché l’evoluzione della musica, in tutti i suoi generi, nessuno escluso, è strettamente concatenata e conseguenziale.
Stupisce sentire che nelle influenze dei Duran Duran ci sono stati i Clash e i Sex Pistols, oltre ai Roxy Music, come sentire il nome dei Metallica sulle bocche di molte pop band. Eppure è così. Stupisce meno che chitarristi di tutti i generi portino nel proprio repertorio standard blues o rock pur suonando tutt’altro. Insomma, dai primi canti nei campi di cotone la musica di strada ne ha fatta.
I defluenti sono molti, ma il fiume principale resta sempre uno solo: il blues. La sua storia, la sua importanza, la sua inesauribile influenza viene troppo spesso dimenticata o minimizzata. Oggi, come 50 o 70 anni fa, non c’è nulla che non ne sia debitore. Viene da sé che ogni filone da esso scaturito ha poi trovato una propria via espressiva, tuttavia le origini affondano sempre li.
Non tenere presente questo vuol dire non avere presente il quadro complessivo dell’evoluzione musica e quindi non riuscire a cogliere gli aspetti del già sentito evidenziati da molti. Non che il già sentito sia tutto blues, ma seguendo la sua evoluzione si riscontrano chiaramente le influenze nei diversi artisti. È innegabile che il primo approccio di colui il quale ha dato dignità alla musica pop nella sua accezione di musica popolare, Bob Dylan, è stato un approccio blues.
La struttura del blues ancora oggi dà forma e forza a migliaia di brani di tutti i generi. È da qui che le nuove leve devono partire per capire perché spesso dei nuovi dischi di parla di già sentito o di influenze troppo marcate.
Essere completamente originali sarà pure quasi impossibile ma essere cloni o vivere sulle esperienze altrui non porta comunque da nessuna parte. Resta un aspetto che in ogni caso fa la differenza, la capacità di emozionare e stupire. Quella, che sia derivativa o meno, è la sola conditio sine qua non un disco può essere definito valido o meno. E non è solo una questione di gusti. Ma questa è un’altra storia.