Come per la maggior parte delle band anche la strada dei Signs Preyer è stata lunga, lastricata di problematiche, di ricerca di una identità e una strada propria. Non ultimo l’abbandono del secondo chitarrista dopo 10 anni di onorata carriera. Ma come recita un detto zen: siamo sicuri che questo contrattempo sia davvero un guaio? Per i romani parrebbe proprio di no. Da quartetto a trio ma con un guadagno di potenza non indifferente. Anche se questo ha significato dover riarrangiare il vecchio materiale. Tanta fatica che alla ‘fine’ ha dato i propri frutti. E che frutti. Il loro ultimo lavoro, III, è una bomba! Pesante, tecnico, arrabbiato, pachidermico. Un disco heavy nel senso letterale del termine quello dei Signs Preyer. Soprattutto ha una produzione che finalmente riesce a dare la giusta enfasi ai brani e la giusta ‘botta’. In sede live, se tengono questi suoni, devono essere delle macchine da guerra. E così dovrebbe essere considerando che il disco è stato registrato live, eccezion fatta per la voce. Un sistema ‘obsoleto’ ma decisamente efficace. Lo stile resta inalterato, Black labe society, Alice in chains e via discorrendo, ma la potenza ha raggiunto livelli davvero notevoli. Se lo si ascoltasse senza sapere che la band è italiana non c’è nulla che potrebbe farlo presagire.
Tirando le somme, per i Signs Preyer, un disco che arriva come un pugno in faccia e prima di ritirarsi ci trascina per una decina di metri senza perdere forza.
Consigliato agli amanti dei suoni decisi, dei muri di suono, delle mazzate sui denti.