Un grande salto nel passato questa prima fatica dei biellesi Rise Of The Stateless Wolf. Un tuffo nei primi demo di alcune band poi diventate iconiche. Un salto di quasi 40 anni. Questo ad un primo ascolto. Approfondendo, la proposta dei nostri si fa interessante. Nei riferimenti della band ci sono gruppi quali Bolt Thrower, vecchi Sepultura, Wolfbrigade, Crowbar, Bathory e His Hero is Gone. Potrebbe essere un elenco fuorviante. I nostri infatti si pongono in uno spazio differente del panorama metal.
Più vicini al doom o ad atmosfere sulla falsa riga di Acid Bath, ma senza le accelerate. Le idee migliori sono quelle che appartengono allo sludge contaminato dall’elettronica. Mentre i punti deboli sono proprio quelli in cui vogliono somigliare a qualcun altro. Il disco è pesante, per suoni, atmosfere, narrazione. È claustrofobico e malato, senza uno spiraglio di luce o un momento di respiro. Estremo fino al limite del rumorismo, come accade in Four severed hands. Buona la produzione, anche se migliorabile in alcuni momenti in cui il famigerato ‘pastone’ di suoni fa capolino. Potrebbe anche essere una scelta stilistica. Effettivamente quel genere di suono incrementa l’idea di caos che la band pare voler trasmettere in certuni frangenti. Buona la voce. Mai un attimo di tentennamento, sempre portata allo stremo. Discrete le capacità tecniche dei nostri purtroppo penalizzate da un drumming non all’altezza.
Se l’idea della band era riuscire a trasmettere inquietudine, obiettivo quasi raggiunto.
In conclusione:
disco per orecchie ben allenate che non può essere messo sul piatto e lasciato andare come semplice sottofondo da chiunque. Un lavoro che ha bisogno del giusto mood per essere ascoltato e apprezzato. Ci sono dei margini di miglioramento, sia tecnici sia stilistici definiti i quali la band di certo riuscirà ad esprimere appieno il proprio potenziale. La partenza è senza dubbio avvenuta col piede giusto. La ricerca di una propria identità.