Testo a cura di Pietro Cerquatti
Tutti i cinefili, fin dalla loro più giovane età, si sono imbattuti con una usanza nostrana (malsana si scopre con il tempo) di cambiare il titolo ai film. Di certo in passato questa pratica è stata utilizzata per dare un titolo maggiormente fruibile alla massa. Specialmente per titoli complessi o non traducibili letteralmente, non avvezza come oggi all’inglese e quindi per cercare di portare più pubblico al botteghino. In alcuni casi però si è andati ben oltre, forse solo per il sadico gusto di cambiare. È come se in Italia ci fosse una sorta di società segreta che si adopera allo scopo, “I Cambiatitoli” un po’ come i “Mangia Morte” di Harry Potter.
Alla mente tornano alcuni titoli particolarmente infelici. Uno su tutti: “Silver Bullet” diventato “Unico indizio la luna piena” del 1985 tratto da un romanzo di Stephen King. Si può capire come essendo un film sui di lupi mannari si sia cercato di far intuire di cosa si trattasse fin da subito, anche se “Silver Bullet” non sembra così difficile da tradurre, neppure a livello concettuale.
“Pallottola d’argento”, questa la traduzione, è infatti da sempre il proiettile che uccide suddetti mostri, senza trascurare che è anche il nome della carrozzina a motore del protagonista, un teenager paraplegico. Di esempi simili ve ne sono parecchi, alcuni più plausibili altri sicuramente meno. La domanda che scaturisce da certi abomini è: perché oggi, visti i tempi e la diffusione dell’inglese anche nel parlare comune, non lasciare il titolo originale o mettere una traduzione o un sottotitolo nella stessa locandina o tra parentesi? La riflessione si fa più incalzante e densa leggendo il titolo di un film di prossima uscita.
È la storia di un robot che manifesta una sorta di umanità, il film in questione si intitola “Chappy“, in Italia uscirà come “Humandroid“. Secondo il marketing italiano Humandroid esprime meglio il concetto di un robot che combatte per mantenere il diritto alla propria esistenza. Se prima era “tollerabile” un discorso di traduzione inventare di sana pianta i titoli è forse meno lecito. Anche perché, ci si potrebbe chiedere, perché affibbiare Humandroid a Chappy e non a L’uomo bicentenario?
Il concetto espresso era lo stesso e il titolo non aiutava certo. O ancora, perché non cambiare Wall-E che erige un vero “muro” tra titolo e contenuto? Qual è il quindi il criterio? Quali le caratteristiche per un titolo per non essere deturpato? Soprattutto, è giusto verso il pubblico? Una cosa è certa, ciò non toglie che in alcuni casi la traduzione o l’interpretazione dei titoli e delle pellicole in italiano abbia reso meglio.