Underground consapevole

Crisi della musica, in tutte le sue sfaccettature. O quasi. Crisi delle vendite, degli ascolti, del mainstream quanto dell’underground. Sono cambiati i gusti, dice. Le priorità degli ascoltatori, dice. Tante cose. Ed è vero, per fortuna. Il problema è riuscire a stare dietro ai cambiamenti. E un elemento che va in questa direzione, ergo in controtendenza generale, sono le capacità tecniche dei nuovi gruppi underground. Che lo si voglia ammettere o meno, le nuove band e solisti, suonano decisamente meglio dei loro equivalenti di soli 10 anni fa. È innegabile.

In redazione arrivano dei debutti che realtà ben più longeve non sono ancora riuscite a costruire. Di contro, band storiche sono andate a scuola facendo un enorme balzo in avanti qualitativo. Poco conta, potrebbe dire qualcuno, se ci son meno persone che ascoltano. Vero a metà. Il dilemma sta nel capire perché ci sono meno persone che ascoltano. Chiariamo, ogni epoca ha la propria musica. Il rock dalla sua, con tutti i suoi sottogeneri ma che alla fine portano tutti al medesimo confine, è il solo genere trasversale a livello generazionale.

Esistono realtà radiofoniche nazionali che hanno costruito il proprio successo su questo aspetto. Quindi il minor ascolto può essere relativizzato. Magari i canali ufficiali non trasmettono più certi generi. Ma gli amanti delle musica ci sono sempre stati, sempre ci saranno. L’underground ha sempre vissuto di passione e appassionati. Altra caratteristica degli artisti emergenti è la minor paura di sperimentare. Probabilmente il mantra ‘non si può scrivere nulla di nuovo’ è stato interiorizzato portando gli artisti ad una nuova consapevolezza. Se non si può scrivere nulla di nuovo, tanto vale scrivere semplicemente quello che voglio.

Questo aspetto ha trascinato con sé una conseguenza decisamente positiva. La minor derivatività delle proposte. Nel corso degli anni abbiamo potuto constatare come i dischi che ci hanno inviato si siano spostati in maniera netta dai riferimenti che li hanno fatti nascere. Di qualsiasi tipo fossero. Ci sono reminiscenze, rimandi, omaggi. Ma sono appunto tali. Sono passaggi consapevoli, riconosciuti e riconoscibili. Mentre prima, ipotizzando di poter fare una distinzione tra un prima e un dopo, prima e dopo cosa è da stabilire, chi suonava voleva somigliare a… suonare come… oggi non è più così.

Sono tantissime le nostre recensioni in cui ribadiamo come i lavori recensiti non siano riconducibili a nessuna influenza particolare. Ce ne sono tante, quindi nessuna domina. È come se l’ascoltare, l’imparare riff altrui fosse stato introitato, digerito e riproposto completamente personalizzato. Pur agendo in un contesto sovraffollato. Prendiamo ad esempio il metal, l’hard rock, o l’indie, la maggior parte dei musicisti ha trovato una via propria per esprimersi. Indietro nel tempo è capitato spessissimo di ascoltare un cd ed avere subito chiaro a chi si fosse ispirato il chitarrista, o la voce o l’intero lavoro.

Oggi capita sempre meno. Ripeto, accade anche in quei generi che per propria struttura ‘obbligano’ a certe soluzioni. Per fortuna i gruppi non si fermano più all’autoreferenziale soddisfazione di somigliare a qualcuno. Vero è che, essendo mutati gli esempi tecnici di base, probabilmente viene più semplice scrivere in modo personale. Un tempo c’erano dei musicisti di riferimento che erano l’apice per chiunque suonasse quello strumento.

Per fare un esempio: Portnoy è stato il batterista ‘faro’ per moltissimi strumentisti. Il desiderio più grande era suonare come lui. Oggi non è così perché Portnoy non è più l’arrivo, è la partenza. Dico Portnoy anche per una questione generazionale, ma ce ne sono moltissimi altri. Viene da sé che avendo un trampolino di tale portata l’evoluzione tecnica abbia fatto un grandissimo balzo in avanti. Oggi ragazzi giovanissimi suonano come non suoneranno mai persone che hanno l’età dei loro genitori e si esercitano da una vita. Esiste un detto chitarristico in tal senso che ben esplica: se non conosci il sistema Caged hai più di 40 anni. E i chitarristi sanno bene di cosa si parla.

Tutto questo è la benzina dell’underground. La lontananza dal mainstream, il desiderio di esprimersi come meglio si crede, mettendo in campo tutte le proprie competenze, fa solo del gran bene alla musica. Ecco cosa è cambiato nell’underground. Se così non fosse stato centinaia di band che hanno creato ottimi dischi, non sarebbero neanche nate. Se non fosse stato così, probabilmente il rock sarebbe morto davvero ripetendo ad libitum gli stessi schemi, gli stessi suoni, le stesse canzoni. La forza delle realtà emergenti è anche questa.

Tuttavia non è tutto rose e fiori l’underground. Ha anche il proprio, non trascurabile, lato oscuro fatto da mille riflessi. Riflessi che gli fanno molto male e che prescindono dagli artisti. Ma questa è un’altra storia. È l’argomento del prossimo IMO.

2 pensiero su “Underground, la linfa dell’evoluzione musicale”
    1. Ciao Roberta,
      grazie mille per il suggerimento. Li abbiamo in coda per recensione.
      Concordo con te, una vera ventata di freschezza.
      Continua a seguirci così da rimanere aggiornata sulla recensione.
      Carmine

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