I confini del rock contemporaneo davvero sono vastissimi. Un esempio, ulteriore, ne sono i Riptides. I nostri propongono un genere influenzato principalmente da djent, death metal e forti influenze progressive, con anche vibrazioni di musica elettronica, come la stessa band dichiara. E si possono sentire tutte. Ma l’aspetto migliore è che questi fattori, uniti, danno vita ad un sound personale, riconoscibile. Non si può parlare di una matrice dominante.
Ora guida l’aspetto djent, ora il prog, poi è l’elettronica a prendere il sopravvento. L’ep, omonimo, composto da 4 pezzi, è un lavoro fatto di contrasti. A momenti ultratecnici e violenti si contrappongono frangenti più leggeri, melodici. Questa sovrapposizione avviene all’interno dei brani creando un sound intenso, assolutamente interessante. A fare capolino ci sono anche spiragli più hardrockeggianti. A vincere, in ogni caso, è sempre la tecnica perfettamente dominata e messa a disposizione delle composizioni. Il disco apre mettendo subito le cose in chiaro con Deepest Oceans.
Suoni pesanti, droppati, aggressivi fanno da base ad intrecci ritmici complessi. Ottimo il lavoro della produzione che è riuscita a tenere gli strumenti ben separati. Con tutto ciò che si affastella a livello ritmico creare caos è un attimo. Partenza al fulmicotone si diceva. Voce in growl. Dopo questo pugno nello stomaco arriva la melodia della voce pulita.
Questa si poggia sempre su un tappeto sonoro intenso fatto ci incroci, dissonanze, linee di basso che si discostano dal resto degli strumenti. A circa metà subentra un rallentamento. Frena la velocità ma il brano si appesantisce. Il rientro è sull’alternarsi della voce in growl con quella in pulito che viene poi lasciata da sola. Descrivere cosa accade a livello strumentale è impossibile.
Tempo spezzati, dispari, dissonanze, sincopi si avvicendano così velocemente da non permetterne una descrizione scritta. Molto particolare il finale affidato ad una voce femminile su base progressiva d’atmosfera. Si prosegue con Inconstant. Questa volta l’intro è leggera. Suono di onde, arpeggio pulito. Preludio all’inasprimento repentino dei suoni. È un passaggio. Si torna a frangenti meno potenti ma assolutamente intricati.
Le due chitarre viaggiano su binari completamente differenti. Sempre molto potenti. A metà circa un nuovo cambio. Si ripresenta l’intro. Torna l’arpeggio di chitarra fatto di armonici. Più che notevole l’accompagnamento di basso, che sembra essere frettless. Si rialzano i toni. Rientra la voce in growl. Le due chitarre si allontanano. La prima resta sulle note gravi mentre la seconda disegna riff melodici. Si riuniscono sul finale alternandosi su spazzi dissonanti.
La successiva Paranoia apre con un riff più hardrock con appoggio di tastiere. È solo un primo passaggio. Immediatamente arriva la voce in growl. A farle da piedistallo un tappeto ritmico incredibile. Un mare in tempesta in cui si alternano brevi spazi più aperti. Arriva poi il momento della melodia piena con la voce in pulito. Anche in questo caso un interludio.
Si torna a schiacciare sull’acceleratore e sui suoni ipercompressi. Soprattutto su ritmiche djent. Nuova apertura melodica che vede il basso ancora su binari propri. Su questo marasma subentrano accordi lunghi di tastiera. Preludio all’apertura melodica successiva. La performance della voce è davvero notevole. Il brano diventa quasi space pur non perdendo in potenze. Ritmiche spezzate portano al finale.
A chiudere il disco c’è Glimpses. Nuovo cambio di atmosfere. Si sentono gli anni ’90. suoni leggeri e ritmiche più lineari. Tuttavia non dura. Il bridge è un muro sonoro, di ritmiche, di incastri, difficilmente esplicabile. Continuano ad alternarsi sfuriate ad aperture melodiche. Queste trovano il loro apice verso metà brano grazie ad un break di tastiera. Subito si affiancano gli altri strumenti reintroducendo nodi inestricabili. Nuovo cambio a circa ¾. Melodia incalzata dalla potenza della rimica. Un a solo porta ad un’ennesima apertura prog che segna il finale.
Concludendo. Un disco che definire incredibile è poco, quello dei Riptides. È talmente incalzante da risultare disorientante. Il susseguirsi degli intrecci ritmici dà un po’ la sensazione di stare sulle montagne russe. Si sale, si scende all’improvviso, si gira su se stessi, ci si avvita. Il tutto nel giro di pochi attimi. Un disco davvero fuori dagli schemi che necessita e merita, ripetutissimi ascolti. Anche solo per raccapezzarsi di ciò che sta succedendo. Consigliato a chiunque sia in cerca di sensazioni forti, non per forza violente, di musica da ascoltare riascoltare senza stancarsi mai. Bravi. Davvero bravi.