Oto Mayumi, giovanissima artista italo giapponese si racconta. Spiega la sua scelta di cantare in lingua nipponica, il suo concetto di underground, cosa vuol dire essere paroliera per altri artisti e moltissimi altri spunti di riflessione. Un intervista tutta da leggere.
Una presentazione per chi non ti conosce
Mi chiamo OTO MAYUMI, sono una italo-giapponese. Faccio sia la cantautrice J-rock che l’interprete delle anison (sigle degli anime in lingua giapponese), YouTuber (anche se ormai sono ferma) e paroliera dei testi in lingua giapponese.
Iniziamo con una domanda ovvia ma imprescindibile: perché cantare in giapponese, in Italia?
Semplicemente sto cantando nella lingua in cui riesco ad esprimermi meglio. Mi trovo a cantare in Italia, perché ormai ci abito da anni, però escluso i live, ho la concezione di essere attiva globalmente tramite internet, dove ovviamente punto soprattutto al pubblico giapponese, oltre che a quello italiano.
Il genere che hai scelto è stata una decisione conscia o è emerso dalla necessità dei testi?
Forse mezzo mezzo? Ho unito ciò che volevo esprimere con i testi e il mio genere preferito.
I tuoi testi sono sempre molto intimi, suonare è uno sfogo o una necessità?
Entrambe le cose. Ho necessità di sfogarmi!
Sei giovanissima, quale problematica vedi tra vecchie e nuove generazioni, sia di artisti sia come pubblico?
Penso che da entrambe le parti, si sia persa molto la pazienza e la concezione “sana” del tempo. Non si può essere subito perfetti e molto spesso, i messaggi belli e/o profondi hanno necessità di essere compresi col tempo, anche magari di maturare, come se fosse un vino.
Al giorno d’oggi c’è poca voglia di aspettare e di godere la crescita e lo sviluppo. Davvero un peccato perché credo che l’arte consista proprio nell’evoluzione.
Qual è stata la difficoltà maggiore incontrata fino ad ora per proporre la tua arte?
Sarò stata fortunata, ma da parte del pubblico non ho avuto delle difficoltà in particolare. Lo scoglio vero è coloro che hanno il potere di decidere chi far esibire e chi no. Questa è la difficoltà con cui sto continuamente lottando!
Parlaci della tua esperienza come paroliera. Come si fa a scrivere per altri?
Molto fanno le idee astratte da parte di chi mi commissiona e la musica da cui devo partire a lavorare. Mentre per i miei brani, per la maggior parte parto dai testi, per quanto riguarda il lavoro commissionato da fuori, fin’ora ho avuto modo di scrivere solo con la musica già pronta.
Reputo che sia un lavoro molto divertente, perché posso scrivere anche dei concetti che con la mia discografia, probabilmente non dirò mai, o perlomeno non in quei determinati modi.
È un po’ come entrare nella testa del cantante che poi lo interpreterà.
Il risultato finale, quindi l’interpretazione melodica e strumentale, ti piace sempre o a volta avresti preferito fosse stata sviluppata diversamente?
Premetto che non faccio uscire ciò che non mi convince, perché lo trovo un atto irrispettoso nei confronti degli ascoltatori. Cerco sempre di fare del mio meglio in quel momento. È chiaro che col passare del tempo, siccome punto a migliorare sempre, posso pensare “oggi l’avrei cantato meglio”, però questo non mi porta ad avere dei rimpianti o a farmi venire la voglia di registrarlo nuovamente. È come se fosse una fotografia. Do importanza a quell’attimo, quindi ho il massimo rispetto per l’arte che ho (e abbiamo, perché è anche merito del mio produttore musicale) partorito in quel momento.
Perché la scelta di esibirti principalmente in ambiente fumettofilo?
Principalmente perché il target a cui può interessare la mia musica frequenta quell’ambiente, oltre al fatto che a me piace sia quel tipo di ambiente che il mondo dei manga e anime (sì, sono una otaku pure io!).
Se però si presentassero occasioni per esibirmi al di fuori di questi contesti, le valuterei volentieri.
Italia a parte, in futuro mi piacerebbe esibirmi anche in Giappone a partire dalle live house, per espandere il mio pubblico e la mia visibilità.
Alla possibilità di avere un pubblico giapponese tengo molto e sto iniziando a coltivare dei primi follower tramite internet. Non a caso, ho scelto di distribuire la mia musica anche sulle piattaforme streaming e download nipponiche e per farlo, ho dovuto utilizzare un grosso distributore locale, perché i distributori occidentali non coprono quegli store. Se sei fortunato ti portano su Line Music e/o AWA, ma tutte le altre vengono ignorate.
Ti consideri una figlia d’arte?
Sì. Però non pensate che quindi non mi sono fatta il mazzo.
La musica oggi dovrebbe essere più…?
Versatile e libera.
Una band per cui ti piacerebbe aprire?
Non so se ne sarò all’altezza, ma mi vengono da nominare i miei vari artisti preferiti. Come artisti italiani, Caparezza e i Måneskin, mentre come artisti giapponesi, CreepHyp e Ano.
Una che vorresti aprisse per te?
Non penso ancora di potermi permettere di scegliere qualcuno…
Il tuo concetto di underground?
Un raduno che fai con i tuoi amici preferiti dopo aver finito la scuola.
È un raduno dove c’è tanta passione, dove condividi il tempo per cose che ti piacciono. Non è detto che ciò che viene svolto sia di bassa qualità, però rimane “semi-privata”.
La sua ‘malattia’ peggiore? La cura?
Si è liberi, ma allo stesso tempo limitati su tanti punti di vista, come per la visibilità e per l’espansione. Non saprei dire la cura, anche perché ogni artista che sceglie di stare nell’underground ha diversi obbiettivi. Magari c’è qualcuno che poi vorrebbe entrare nel mondo delle major e altri no. Per certi versi, mi viene da pensare che il mondo underground stia bene così come è.
Una band o un artista underground che consiglieresti?
Faccio due nomi di artisti giapponesi: Femme Fatale e le METAMUSE.
Una mainstream che ancora ti stupisce?
Ne dico altri due giapponesi: CreepHyp e Sheena Ringo.
Ieri l’idea, oggi il disco, e domani…
Album e concerti! Dopodiché, una bella bevanda alcolica che accompagna un buon pasto!
Una domanda che non ti hanno mai posto ma ti piacerebbe ti fosse rivolta?
Per adesso non ne ho, perché sono già contenta delle domande che partono dalla curiosità delle persone.
Se fossi tu ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervisteresti e cosa gli chiederesti?
Questa domanda mi ha messo molto in crisi. Sinceramente non saprei.
Sono una persona che tende a pensare “sarà andata così perché avrà avuto le sue ragioni”. In tutta onestà, avrei pure paura a fare delle domande. Temo che poi determinate osservazioni facciano cambiare idee agli artisti e magari poi non sarebbero più uscite determinate opere.
Un saluto e una raccomandazione a chi ti legge
Grazie per la pazienza nell’aver letto fino qui! Spero che la mia musica, se doveste ascoltarla, in qualche modo vi lasci qualche messaggio.
Mi raccomando, cercate… anzi, cerchiamo di non essere un pubblico pigro che considera uno sforzo o un favore il fare un passo verso l’artista.