Gli Interlude of Clarity sono la prova provata di come è possibile scrivere musica originale facendo tesoro di tutto ciò che fin qui è stato. Reflections fa esattamente questo senza porsi ‘problemi’ di coerenza, richiami o limiti di genere. Al sjo interno c’è davvero di tutto. Dal rock classico all’industrial passando attraverso il goth e lo speed. Ancora, è un disco che evidenza come la tecnica non abbia necessariamente bisogno di essere complessissima per essere apprezzata.
Allo stesso modo non ha bisogno di velocità supersoniche. Nel disco domina il mid tempo. Scelta perfetta sia per il contesto che la band esprime, sia perché offre la possibilità alla band di essere tecnica in modo intellegibile. Soprattutto permette di incastrare all’interno di uno stesso brano livelli di leggibilità differenti. La melodia della voce che domina su tutto è il primo strato di approccio. Volendo un ascoltatore potrebbe anche fermarsi qui. Per chi è più curioso, ci sono i piani di lettura successivi.
Ed è in questi che si trovano i veri tesori. Cambi di tempo, chitarre e tastiera che si intrecciano, basso che segua una propria strada, la voce che si adatta alla perfezione al contesto narrativo. Refletcions potrebbe essere considerato un disco facile e difficile allo stesso tempo, proprio per i motivi su detti. Un peccato sarebbe fermarsi alla superficie. Va anche subito detto che è un lavoro dal respiro internazionale. Le potenzialità sono talmente forti che la sua italianità non dovrebbe riuscire ad ostacolarle.
Un dettagliato track by track richiederebbe davvero pagine e pagine per essere esaustivo. Rimane solo la possibilità di descrivere le atmosfere che le canzoni richiamano e le sensazioni che lasciano. Il lavoro inizia subito mettendo le carte in tavola con Chains. Intro e suoni al limite dell’industrial. Dopo un introduzione immediata a dura, la melodia della voce smorza l’impatto sonoro. Queto resta in ogni caso, nervoso, latente e pronto ad esplodere.
Ancora si susseguono passaggi di synth a mischiare ancora di più le carte in tavola. Una canzone senza fronzoli, ma non certo semplice o banale. Si cambia atmosfera con la successiva Soldier in line. Intro di solo pianoforte. Melanconico, triste, evocativo. Subito dopo entra uno scream maschile. Chitarre e ritmo serrato accompagnano la voce femminile. Inizialmente anche questa è cadenzata per poi aprirsi sul ritornello. Qui si intreccia con lo scream maschile che fa da controcanto.
Break e reprise con un tocco di doppia cassa. Nel frattempo si fanno presenti suoni di synth che aumentano l’intreccio ritmico. Formula circolare riporta al ritornello. Break ritmico prima del breve solo solo. Gli a solo sono un altro punto a favore dei nostri. Non sono mai sciorinate di note. Piuttosto sono sempre contestualizzati, precisi. Si cambia ancora con la successiva Demons. Il contesto di apertura è speed. Ma dura poco.
Con la voce c’è in rallentamento sottolineato dall’intervento del piano che dimezza i tempi. Ottimo intreccio ritmico così come perfetti sono i cambi di passo. La voce è sempre perfetta. Completamente a proprio agio in ogni situazione. Nello special centrale il compito di solista è dato al piano forte. Questo richiama il proprio riff portante accentuandone la parte ritmica. Reprise dell’intro prima di un brak degno dei migliori nomi prog. Suoni quasi space rompono la corsa a perdicollo fin qui seguita.
Una manciata di battute, ma tanto basta per caratterizzare i brano in maniera più che positiva. Conclusione sempre su note di piano. Segue Out of here. Canzone pesante, sia nei suoni sia nell’andamento. Mid tempo tendente al lento. Chitarra impenetrabile e archi. La voce poggia su una base di pianoforte, batteria dritta e basso. A questi si affianca la chitarra con un ritmo lento, chiuso. Il ritornello con la batteria in controtempo offre uno spiragli di respiro accentuando la melodia. Struttura ABAB fino allo special. Qui si rallenta ed netra la voce maschile, in growl.
È l’anticipazione di ciò che sta per avvenire. Si rallenta ncora, i suoni si fanno meno serrati, anche se restano chiusi. Una boccata di ossigeno prima di ripartire col ritornello. In questo è la batteria a fare le differenza introducendo ottavi di cassa e accelerando sul finale. Oltre c’è The beginning of the end part II. Brano suggestivo e toccante. Non può essere definito ballad perché non lo è, pur rimanendo su tempi piuttosto lenti. Intro solo voce e piano. Ritmo lento.
Chitarra, batteria a basso entrano con un andamento spezzato. Pesante ma non troppo invasivo. Si distingue pienamente l’intervento del pianoforte. Apertura sul ritornello dove si intrecciano seconda voce maschile in growl, synth e tempi dispari di batteria. Coordinate prog pur in un contesto che progressivo non è. Medesimo concetto per lo special successivo. Chitarra in riffing serrato senza accelerate. Batteria di conseguenza. Molto percussiva, non lineare. La cove si fa più suadente, eterea. Breve intervento solista e ripartenza su ritornello.
Make it through è tra i brani meglio riusciti. In odore di Merillon, la canzone si mostra come una power ballad progheggiante. Suoni languidi lasciano spazio ad un’impennata elettrica successiva. Cambio non di velocità ma solo di suoni che diventano compatti e decisi. Successivamente si torna per un attimo a frangenti più space per poi essere catapultati in un passaggio quasi djent ma senza la voce in growl. Il ritornello riporta su coordinate più lineari.
Still alive inizia in un contesto cyberpunk. Voce quasi narrante, suoni elettronici, batteria che accompagna solo il charleston chiuso. La voce domina come una figura solitaria sulla cima di una montagna. La seconda strofa trova dei cambi. Entra la chitarra, con suoni ora lunghi ora ritmati. Nuovo ritornello ed ennesimo cambio. Special che introduce un velocissimo passaggio solita della sei corde e che sfocia nel refrain finale. If i could tell è la ballata del disco. Leggera, eterea, onirica. Pianoforte, voce, archi.
Alcuni ingressi di una seconda voce femminile. Ma è la cove solista a dominare incontrastata. Un filo di velluto che avvolge e porta delicatamente con sé. Inestricabile fino all’ultima nota. Una ballata struggente per quanto diretta. Si continua con le atmosfere oniriche grazie ad The beginning of the end part I. Il brano si caratterizza per il break quasi in chiusura che alza il ritmo e appesantisce le coordinate stilistiche. A chiudere il disco ci pensa Wrath.
Degna conclusione di un viaggio attraverso la musica. Il brano tiene fede alla scelta delmid tempo pur avendo un andamento molto coinvolgente. Soprattutto grazie alle linee melodiche. La voce si cimenta in un cantato più hardreckeggiante tenendo saldamente le redini della canzone. Ottimo il break a ¾ che introduce il solo di chitarra. Le atmosfere si fanno più sulfuree prima di riprendere il ritmo pieno che accompagna al finale.
Concludendo. Capita sempre più spesso di elogiare un disco. Questo a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che di progetti validi ce ne sono davvero tanti. Quello degli Interlude of Clarity è davvero un ottimo prodotto. È perfettamente equilibrato. Prende a piene mani ciò che di buono hanno prodotto rock e metal negli ultimi 25 anni, e non solo, per creare uno stile proprio. E ci riescono davvero molto bene. Non ci sono sbavature, punti deboli, tentennamenti.
Un disco piuttosto maturo, che cerca di rifuggere il più possibile luoghi comuni e sonorità trite. Certo, alcune inflessioni sono ancora presenti. Tuttavia la band ne è pienamente consapevole e cerca di liberarsene. SI tratta di leggerissime ombre, dei richiami più che dei riferimenti. Richiamo che indicano come quel determinato genere sarebbe potuto evolvere. Va un plauso a tutta la band. Nessuna ostentazione, né volontà dimostrativa. I nostri suonano e basta, pur tenendo ben presente dove vogliono arrivare e come arrivarci. Un disco che rifiuta gli stilemi dei generi per infarcirli di nuove contaminazioni.
La scelta del mid tempo come andamento generale è più chge azzeccata. Diversamente si sarebbero perse le numerose sfumature che invece emergono di ascolto in ascolto. Quello dei Interlude of Clarity è un cd che in molti dovrebbero ascoltare. Al di là delle preferenze di genere. Lavoro che può essere utile sia a chi vuole avvicinarsi a determinati suoni sia a chi li conosce ma è stufo della loro iterazione.
La strada è appena iniziata, ma i nostri possono dirsi serenamente avviati verso una fruizione su larga scala. Non stonerebbero certo accanto a nomi più blasonati.