Intervista a cura di Benedetta Lattanzi
Dal Giappone all’Inghilterra fine anni 70: è questo il viaggio dei Japan Suicide, quintetto ternano che ha da poco pubblicato il secondo album, We Die in Such a Place. In questa intervista a Tempi-Dispari Stefano Bellerba, cantante e chitarrista, approfondisce le tematiche e la filosofia della band.
Innanzitutto presentate il progetto Japan Suicide: come siete nati e quale è l’idea di fondo che guida la vostra musica?
Ci siamo incontrati quando ancora il gruppo aveva una formazione diversa, all’inizio c’erano il bassista e il tastierista che hanno fondato il gruppo, poi mi sono aggiunto io e dopo qualche cambio adesso siamo in cinque. L’idea di fondo è cercare di unire una musica che riesca ad essere di impatto e che abbia non solo un aspetto musicale ma anche di pensiero. Vogliamo che una persona, ai nostri concerti, oltre ad ascoltare la nostra musica riesca a pensare a cosa c’è dietro le nostre canzoni, al perché di certi titoli, che sia un’esperienza completa che vada oltre al solo aspetto musicale.
Perché avete scelto il nome “Japan Suicide”?
Il nome è venuto in mente al nostro bassista che, dopo aver visto un documentario sulla città di Tokyo, è rimasto colpito dall’architettura di questa città che fonde parti molto moderne ad altre antiche. Un aspetto che poteva in qualche modo rappresentare la musica che facciamo, visto che abbiamo preso delle influenze dal post-punk dell’Inghilterra di fine anni 70, trasportandole ai giorni nostri e riproponendole a modo nostro.
La cultura giapponese sembra avere una forte influenza su di voi: oltre al nome possiamo trovare dei rimandi anche nel vostro ultimo album We Die in Such a Place, di preciso nella traccia Tokkotai e nella cover che raffigura la famosa foto scattata durante la battaglia di Iwo Jima. È voluta la cosa oppure è solo frutto di coincidenze?
Per quando riguarda la cover è una cosa casuale, mentre la canzone si riferisce all’operazione dei piloti kamikaze. Ho attinto da un saggio di un’antropologa la quale ha trovato dei diari scritti dai kamikaze e ha cercato di cambiare l’opinione riguardo a questi ragazzi che spesso venivano ritratti come dei fanatici, ma in realtà erano persone che avevano molti conflitti interiori, divisi tra la fede per l’esercito nazionale e l’idea che il prezzo da pagare sarebbe stato la loro vita. Nel testo stesso si trovano delle citazioni prese da questi diari.
La morte è un argomento portante in questo album. La tracklist può essere vista come un “ciclo che porta alla morte”?
Sì, c’è un’aria leggermente funebre e negativa nel disco. Alcuni testi si ispirano a delle esperienze personali, poi ci sono alcune canzoni, come Tokkotai che parla appunto dei kamikaze, o Even Blood che parla dei migranti o alcune canzoni nelle quali ognuno può leggere una propria esperienza. C’è un tema di fondo che è quello della morte, dell’inquietudine e dei pensieri negativi, ma ognuno ovviamente vive la cosa in base alle circostanze e all’ambiente in cui si trova perché ovviamente la sofferenza che provo io è quella di una persona che vive in un posto pacifico ed è molto interiore e totalmente diversa da chi per esempio vive in un posto afflitto da una guerra. La traccia finale, I Don’t Exist, è un po’ un cercare di farsi da parte anche leggermente contraddittorio perché da una parte voglio emergere, parlando di me e delle mie emozioni, ma dall’altra riconosco che è una mia debolezza e quindi tento di ammetterla chiudendo questo cerchio e tirandomi indietro, parlando di cose più importanti come la morte e la condizione propria dell’essere umano.
Nel video di Naked Skin, ancora inedito, continuano i rimandi al sonno eterno. Di chi è il concept del video?
La canzone si riferisce ad un mio stato d’animo molto intimo, ma ci piaceva immaginare questo personaggio che si trovava da solo che vagava. In realtà il video non l’ho visto, è una cosa sulla quale sta ancora lavorando il regista, quindi siamo curiosi di vedere il risultato finale, abbiamo solo scritto qualche nota ed alcuni riferimenti.
We Die in Such a Place arriva cinque anni dopo il vostro primo album, Mothra, datato 2010, e dopo vari cambi di formazione. Quali sono le differenze tra i due lavori? C’è stato un approccio differente a livello compositivo?
Sì, la cosa principale è che il primo album coincideva con la nostra prima esperienza in sala di registrazione e ancora non avevamo bene in mente il tipo di suono che volevamo raggiungere, i pezzi sono stati registrati così come ci venivano. Se si ascolta attentamente, ci si accorge che non c’è un genere principale del disco, sono tutti pezzi sparsi qua e là senza nessuna consapevolezza mentre lo scrivevamo. In We Die in Such a Place c’è stata molta riflessione prima della registrazione,uno studio dei pezzi e dei testi in modo che fossero un minimo coerenti stilisticamente. Sicuramente c’è molta più consapevolezza sia nello scrivere che nel comporre. Molte persone potrebbero essere un po’ restie ad ascoltare questo lavoro, essendo basato su un’aria negativa dà anche meno modo di essere ascoltato da persone che sentono un tipo di musica più “leggero”, ma siamo soddisfatti così.
Quali sono i vostri progetti futuri? C’è qualcosa che vi piacerebbe fare più di altre?
La cosa in cui speriamo e in cui ci stiamo impegnando è cercare date in Europa, considerando che i nostri testi sono in inglese potremmo essere in grado di arrivare a più persone all’estero. Abbiamo già una data in Germania, il nostro obiettivo è quello di girare suonando, ma dobbiamo impegnarci parecchio.
Un ultimo messaggio per chi vi segue.
Ci farebbe molto piacere se chi ci sente mettesse un po’ di dedizione nell’ascolto visto che al giorno d’oggi c’è tanta musica disponibile, il che è meraviglioso, ma allo stesso tempo c’è un’offerta talmente ampia che è difficile avere la giusta concentrazione per soffermarsi e godere appieno di un lavoro. Abbiamo un indirizzo mail sul quale ci piacerebbe ricevere i commenti di chi ci ascolta.
I Japan Suicide sono:
Stefano Bellerba – voce e chitarra
Leonardo Mori – synth
Matteo Luciani – basso
Saverio Paiella – chitarra
Tommaso Sensidoni – batteria
Link Utili
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