Intervista raccolta da Carmine Rubicco
Un cantautore diretto, pochi giochi di parole e concetti immediati. Storie del quotidiano, non la ricerca della felicità ma di equilibrio, la necessità di “una via di fuga tascabile quando le cose si fanno un po’ pesanti“. Questo e molto altro è Bonetti e in questa intervista racconta di sè e del suo primo disco
Chi è Bonetti?
Bonetti è un trentunenne della provincia che per motivi di lavoro da tre anni vive a Torino. Scrive canzoni e a novembre ha pubblicato il suo primo disco. Comunque mi fa un po’ impressione parlare di me in terza persona.
Perché un disco come Camper?
Perché non c’è un gran bisogno di nuovi cantautori nel 2016! E allora l’unica cosa da fare è un disco semplice e consapevole, ma diretto e sincero, con dei contenuti che parlino di quotidiano e sentimenti, insomma: di vita, senza tanti orpelli. Almeno queste erano le mie intenzioni quando l’ho scritto.
Che cos’è la musica per Bonetti?
E’ una cosa seria, per cui bisogna farla col sorriso. Cito una canzone di Vittorio Cane, un cantautore torinese favoloso e purtroppo troppo sconosciuto: “c’è la musica che mi salva/ che mi allontana che mi emoziona/ c’è la musica che mi da un senso/mi svela un mondo un po’ più denso”. Ecco, più o meno questa cosa qui!
Testi personali, a quale sei più legato e perché
Quello di Tom Petty and the Heartbreakers, che come ho già avuto modo di dire altrove, per me è una sorta di piccolo manifesto. Parla del mondo che voglio avere, che posso amare. Un mondo che non si vuole prendere troppo sul serio, che manda a quel paese i finti maestri e punta alle cose veramente importanti. Aiuto, rileggendo mi sono reso conto che ‘sta cosa suona un po’ troppo gramellinesca. Vabbe’, ascoltatevi il pezzo, di cui tra l’altro è appena uscito un bel video unplugged!
Il Camper come metafora di uno stile di vita o che cosa?
Io tendo a scrivere di cose che mi riguardano da vicino e molto semplicemente da anni desidero prendermi un camper e la canzone parla di questo. Parla cioè di quei piccoli sogni nel cassetto che abbiamo e coltiviamo, magari anche senza la pretesa di vederli realizzati ma solo per il gusto di tenerceli lì a portata di mano per renderci migliore il quotidiano. Un pensiero in cui rifugiarsi ogni tanto quando le cose si fanno un po’ pesanti; insomma, una sorta di via di fuga tascabile. Che poi in pratica è quello che la musica rappresenta per me.
Il tuo “segreto” per non assomigliare a nessun altro in un panorama troppo spesso sovraffollato di cloni
Beh se è così grazie di cuore, lo prendo come un gran complimento! Oggi siamo pieni di nuovi progetti, Internet aiuta chiunque a pubblicare qualcosa, ma ripeto, per me la cosa più importante è sempre stata quella di fare le cose in modo sincero. Poi ovvio che di riferimenti ne ho anch’io a volontà, ci mancherebbe, ma se viene fuori anche la mia linea personale sono molto contento perché significa che sono riuscito a centrare uno degli obiettivi per me più importanti.
Il momento più duro e quello più bello della realizzazione del disco?
Non parlerei proprio di momenti duri. Certo, il disco mi è costato dei sacrifici, anche economici, però ci tenevo così tanto a queste canzoni che non ho mai pensato di abbattermi, anche quando ho ricevuto parecchi rifiuti da diverse etichette. Di momenti belli ne voglio citare almeno tre: le registrazioni con Omid Jazi nella campagna modenese, la telefonata di Simone Castello della Costello’s che mi diceva qualcosa tipo “il tuo disco ci interessa” o non lo so perché da quel momento in poi non ho più capito nulla del resto della conversazione e la presentazione dell’album dal vivo, doppiamente bella perché condivisa con i ragazzi della band che sono amici preziosi.
In un paese come il nostro dove la libera iniziativa e il mondo creativo in genere sono ostacolati in mille modi, quanto coraggio e quanta incoscienza servono per decidere di perseguire la carriera artistica?
Serve pianificazione. Insomma, questo è quello che posso dirti basandomi sulla mia esperienza. Non vivo di musica, mi piacerebbe molto, ma al momento non mi è proprio possibile. Per cui si tratta di organizzarsi bene, portare avanti, spesso con grandi sacrifici, il lavoro “ufficiale” che paga l’affitto e le spese e poi, nel tempo rimasto libero, dedicarsi alle canzoni, alle prove, alle date. Però dal momento in cui si tratta delle mie canzoni la parola sacrificio scompare. Anche perché nessuno mi chiede di scrivere, lo faccio per me perché è un’esigenza troppo grande che ho. Poi se a qualcuno i miei pezzi piacciono allora è tutto così bello che non ha proprio senso parlare di sacrificio.
Una cosa che ci tieni a dire durante un’intervista
Andate ai concerti, sostenete dal vivo gli artisti che vi interessano. I “Mi piace” su Facebook e le condivisioni fanno piacere, ma non perdiamo il contatto con la dimensione dal vivo. Guardate in faccia i musicisti, cercate di capire se suonano per puntare al successo o perché ne hanno bisogno loro per primi. Insomma, più live e meno like!